Biografia

 

Arturo Livio Baldo nasce a Rovereto, in provincia di Trento, il 18 maggio 1927  e si spegne a Padova, il 16 aprile 2004.
Comincia a dipingere le sue tele ad olio nel 1962, dilettandosi  con “Il vaso di rose” di Auguste Renoir. In quell’anno si unisce in matrimonio ad Amelia Salmaso, conosciuta in uno dei suoi viaggi a Padova, città di Sant’Antonio.
L’arte si intreccia alla vita e al corpo, quasi alla carne di questo pittore definito naïf, ma di un’ingenuità primitiva che rievoca l’eden, il paradiso, perduto con il peccato originale. Molto attivo nel sociale in gioventù e negli ultimi anni della sua vita – il sociale è per Livio la sintesi più alta della comprensione umana, il “cum-patior” dei Latini che fa dell’uomo l’essere universale per eccellenza -, si dedica al teatro, è membro della filodrammatica di Rovereto, sua città natale, e partecipa in qualità di attore a molte delle commedia scritte dal conterraneo Guido Chiesa e rappresentate nel teatro cittadino.
Nonostante la buona notorietà,  l’atteggiamento di Arturo Livio è quello di un dilettante che guarda alla vita con la sensibilità di chi s’innesta in lei e la vive intensamente e nello stesso tempo con quella timidezza che lo spinge a “raccogliersi” nell’intimità dei suoi paesaggi di montagna – luoghi della sua nascita – per ritrovare emozioni e sensazioni d’infanzia e di gioventù.

La pittura non è il solo interesse di Arturo Livio che ama anche lavorare con e nella materia. Tutte le sue produzioni costituiscono sperimentazioni in cui modella il materiale originario – marmo, ferro, legno – per farne uscire qualcosa che si avvicina molto a un prodotto esperibile attraverso i cinque sensi, ma nello stesso tempo lo supera e diviene  “altro” in rapporto alla mano che l’ha lavorato, al pensiero e allo sguardo che l’hanno creato.

Paesaggi, calli veneziane, scorci di città visitate e amate, viaggi di gioventù, viaggi in età adulta: tutte le esperienze visive ed emozionali ritrovano colore e anima nello spazio della tela che Arturo Livio dapprima addomestica con grande rispetto – tocchi, pennellate, tratti incerti che suggeriscono e non ancora definiscono, abbozzo di un mondo ritrovato che cerca una definitiva collocazione –  e poi plasma in luogo vissuto, quasi ricollocato e sistemato, espressione di un ordine che ha trovato ragione nel corso delle sue esperienze umane e professionali.
L’intimità, il ritrovarsi nello spazio della natura, il respiro delle proprie montagne, i tratti sfumati degli scorci cittadini si alternano alle tematiche sociali, alla storie dei papi, a ritratti di uomini illustri, quasi a confermare radici profonde che si allargano nel tessuto sociale, nella narrazione della realtà moderna e contemporanea e di quelle tematiche e valori che la caratterizzano.

Ogni opera si definisce passo passo sempre più nettamente, il dettaglio si fa quasi ossessione, la rappresentazione diventa espressione della realtà in cui si intrecciano contemporaneamente i piani della ricostruzione e quelli dell’elaborazione emozionale. Alla fine la realtà rappresentata, per quanto ricca di elementi ritratti nel dettaglio, si avvolge di quella luce valoriale che informa la vita dell’artista, fatta di fede rigorosa, di impegno sociale, di adesione decisa a ideali inequivocabili.
Impegno, arte, azione a favore dei più deboli e dei giovani dominano la sua vita: dall’insegnamento in un istituto superiore, dall’umile servizio alla messa quotidiana, alla presidenza di associazioni di volontariato.

La morte della moglie, avvenuta improvvisamente nel 1999, blocca la sua mano.
L’incidente stradale subito nel 2000 lo trasforma. Dopo tre anni e mezzo di sofferenza si spegne nel 2004 all’età di settantasette anni.